Metalli

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Artigianato Sardo                                    Ceramica                                    Tessitura                                   Pietra                                    Legno                                    Pelle                                  Cestineria

 

La Sardegna ha dato vita, sin dalla più  lontana antichità, ad una fiorentissima industria della lavorazione dei metalli. Probabilmente la fama di deposito naturale di metalli attirò la cupidigia delle genti straniere che approdarono nelle coste dell'isola per dare inizio ad una straordinaria attività estrattiva e fusoria, condotta con esperienza, ingegnosità, estro creativo e capacità tecnica in grado di trasformare, in tutte le epoche, la materia grezza estratta dagli infernali cunicoli delle miniere in luminose manifestazioni di arte.

 

I Fenici stabilirono i primi approdi nelle coste sud-occidentali, mentre i Romani deportarono nei pozzi estrattivi dell'isola i condannati «ad effodienda metalla» per sostentare un'industria pubblica. I Bizantini si ostinarono a difendere questa loro provincia periferica al solo scopo di continuare l'approvvigionamento dei metalli, rarissimi all' epoca del impero d'oriente. I Pisani si adoperarono per il rilancio della coltivazione delle miniere riorganizzando la produzione dell'argento. Gli Aragonesi partirono alla conquista del bacino iglesiente per averne a disposizione l' enorme ricchezza metallifera. I Piemontesi, ultimi arrivati, intensificarono l'estrazione delle materie prime e regolamentarono poi tutta l'attività legata agli importanti giacimenti della Sardegna.

 

In tal modo questa terra antichissima ha fondato sempre i motivi della sua esistenza sul lavoro dei prodotti estratti dal sottosuolo, sia durante la civiltà dei nuraghi che si è nobilitata in quelle singolari manifestazioni di arte plastica, sia durante la penetrazione dei popoli di stirpe semitica, sia durante tutte le successive vicende storiche, costantemente determinate da una visione strategica dei dominatori per il possesso dei giacimenti metalliferi.

 

Se il minerale ha sempre preso la via del mare, ha però favorito la creazione nell' isola di un artigianato dignitoso e originale, che ha dato in ogni epoca frutti genuini, documenti vividi di una civiltà popolare degna di rispetto. Sino agli anni immediatamente anteriori all' ultimo conflitto mondiale avevano vasta rinomanza le botteghe di fabbricazione di oggetti di ferro di Cagliari, dell' lglesiente, della Barbagia e del Meilogu.

 

Il paese di Isili nel Sarcidano riusciva ad emergere nella produzione artigiana degli utensili di rame; Gavoi si distingueva, insieme ad Abbasanta e a Cuglieri, per la tipica creazione di morsi, briglie, staffe e speroni per cavalcature; Pattada, Dorgali, Mogoro, Arbus e Gonnosfanadiga vantavano il primato nella confezione di arnesi da taglio, mentre altri piccoli centri, quali Gadoni, Tonara, Tempio e Santulussurgiu, si compiacevano della grande fama acquistata nell' isola e fuori dall'ambito regionale per la lavorazione di magnifiche armi da fuoco, perfette nel funzionamento, eleganti e preziose nelle raffinate decorazioni.

I metalli nobili, oro e argento, avevano dato vita ad una florida attività guidata da un'arte che si era venuta sviluppando con caratteri propri e che aveva assicurato, per un lungo volgere di secoli, anche la continuità di una ben definita tradizione isolana. Nel passato in Sardegna i principali centri per la lavorazione dell'argento erano Cagliari ed Oristano, Iglesias e Tempio, Fonni e Gavoi, Nuoro e Dorgali, Ittiri e Sassari, con alcune centinaia di abilissimi artigiani che riuscirono a mantenere viva una tradizione di capacità creativa spontanea ed inalterato il rispetto ai vecchi moduli ispirati a sovrapposti influssi delle culture fenicio-puniche e romane, bizantine e toscane, iberiche ed italiane.

 

Tra i «pezzi» più  frequenti erano preferiti gli amuleti apotropaici e portafortuna, quali «Sa Sabeja» o «Su Cocco» o «Su pinnadellu», «sa punga», «sa manufica» o gli scapolari religiosi, come «is Nudeus», ossia quelle teche romboidali per la conservazione delle reliquie, le medaglie, gli oggetti di devozione ed anche le confessioni scritte di gravi peccati. Hanno avuto larga diffusione come completamento dell'abbigliamento tradizionale gli orecchini nelle diverse fogge a palia, a lantioni, a callellèddus, a caboniscus, a muras, a goccia, ad anello, simbolo e distintivo delle diverse categorie sociali, alcuni rappresentanti la continuità storica con l'antico mondo protostorico.

 

Le spille d'ornamento riproducono i motivi della colomba, della farfalla, del cuore, della palmetta, del sole, della cometa e della foglia. I bottoni in filigrana riprendono la forma mammellare dalla religione dei protosardi, mentre le fastose collane sono a «lasu», cioè  allacciate come i moderni pendenti, "a cannaccas", a «barchitedda», con coralli, pietre dure e con «l'occhio di Santa Lucia», oppure con conchiglie, perle, campanellini d'argento, o con la croce, talvolta a doppia faccia. Le donne sarde usavano anche i braccialetti rustici o raffinati e guarnivano i capi del costume tradizionale con file di monete d'oro e d'argento, catene, gancere, spuligadentes e limpiaungas, o con altre decorazioni barocche nelle fibbie, negli agganci, nelle cinture, nelle corone dei rosari, sugli anelli e nei fregi: oggetti ora curiosi, ora interessati, di uso normale o di significato religioso e magico, sempre attinenti ad un cerimoniale complicato e suggestivo.

A Cagliari gli argentari avevano le loro caratteristiche botteghe nel suggestivo «Carrer de los plateros», avendo diritto a particolari privilegi concessi ai loro Gremì, posti sotto la protezione di Sant' Eligio, orafo della Zecca di Marsiglia, che era venerato in molti paesi isolani. Sull'intera area isolana la produzione di gioielli e monili per l'ornamento muliebre e di oggetti di carattere religioso si è sviluppata con elementi propri seguendo sempre la caratteristica peculiare di arte regionale tipicamente sarda, distinta e diversa da quella consimile di altre regioni italiane e mediterranee. Questa singolare arte popolare affonda le sue radici vigorose nelle vicende della preistoria, quando gioielli e amuleti, ricavati da materiale prezioso e arricchiti con sfere di ossidiana, avevano un valore magico ed un significato rituale. Oggi la Sardegna non offre che scarse testimonianze di oggetti preziosi dei periodi più lontani, ma presenta invece numerosi «pezzi» risalenti a non oltre il Seicento: è pertanto difficile stabilire quali elementi ancora in uso siano autoctoni e quali siano derivati da influenze straniere. Intanto possiamo distinguere due tipi fondamentali nella gioielleria che, in un primo tempo, impiegava solo l'argento e successivamente anche l'oro.

 

Accanto ad una produzione che chiameremo aulica, ad alto livello propria delle classi aristocratiche e borghesi che accettano l'influenza ed il contatto di altri ambienti non sardi, osserviamo la presenza di un tipo di gioiello popolaresco, conservativo e tradizionale, adottato dalle classi povere, e considerato, oltre che per il valore venale, anche come patrimonio spirituale ed affettivo, come dote della famiglia ed anche come tesoro della casa. Fin dal tardo Medioevo nell'isola prosperavano le corporazioni di orafi e di argentieri, mentre in epoca rinascimentale a Cagliari fiorivano le scuole d'arte alimentate dalle richieste di una ricca clientela costituita dalla grassa borghesia delle famiglie pisane e catalane e della nuova aristocrazia approdata in Sardegna dalla Spagna.

 

Gli esemplari più  antichi di oggetti di pregio rinvenuti nell'isola denunciano peraltro chiare influenze estranee come la croce processionale di Oristano, conservata in San Francesco sin dal sec. X IV e che si accosta a modelli toscani. Tuttavia gli artigiani locali, che avevano fondato i Gremi già prima del 1300, pervennero ad un alto livello di capacità e di valore artistico, come documenta l'altra croce astile del duomo di Salemi, commissionata al maestro Giovanni Ciani di Cagliari, e raggiunsero momenti di vera arte con quel famoso Giovanni Mameli che nel secondo Cinquecento, fu maggiorale del Gremio cagliaritano degli argentieri. Potremmo ricordare anche Abramo Majmo, Guglielmo Camar, Giovanni di Sardegna, tutti personaggi menzionati dai censi del duomo di Cagliari, ma non dobbiamo dimenticare la schiera degli umili artisti moderni, quali i Cixi, i Renoldi, gli Staico, i Marini, i Montaldo, i Soccumannu, i Manunza , gli Usai, i Carta, i Barrella, i Tolu, i Cillocu e gli altri che per generazioni hanno rinnovato il miracolo della freschezza e dell' originalità  di un'arte dignitosa.

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