Ceramica

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Artigianato Sardo                                     Metalli                                   Tessitura                                     Pietra                                      Legno                                      Pelle                                 Cestineria

 

L'attività tipicamente popolare della lavorazione delle terrecotte risale in Sardegna all'alba della civiltà neolitica. Infatti fin dalla più remota preistoria gli anonimi artigiani delle diverse regioni dell'isola hanno continuato questa forma di artigianato ripetendo figure e linee con sorprendente costanza di motivi ed elaborando con fresca originalità gli eterogenei elementi appresi dalla cultura dei popoli dominatori in successive epoche di conquista e di colonizzazione.

 

Tuttavia, malgrado il peso notevole degli influssi esterni, gli artisti figoli dell'isola sono rimasti fedeli ad un canone estetico fatto di semplicità e di eleganza, di praticità e di funzionalità, di buon gusto e di espressione decorativa ad alto livello. Si può dire che agli oggetti primitivi creati nella fase iniziale della cultura indigena sono succeduti poi tutti gli utensili della vita domestica, influenzati dal gusto e dalla tecnica delle genti d'oltremare, ma pur tuttavia caratterizzati da quell'uniformità di disegno e di concezione, di fattura e di originalità che ha garantito per secoli una tradizione assai dignitosa.

 

I centri isolani interessati all'attività della terracotta erano Assèmini, Decimomannu, Decimoputzu, Dorgàli, Nurallào, Olbia (già Terranova Pausània), Oristano, Orosei, Pabillonis, Teulada, Tortolì e Villaputzu, dove era possibile riconoscere ed ammirare gli archetipi preistorici, punici e romani tramandati da sempre con stupefacente monotonia. In questi centri si produceva tutto il fabbisogno per l' arredo domestico e per tutte le altre attività della civiltà contadina e pastorale, riproponendo, con pochissime varianti, gli analoghi oggetti della vita pratica dei popoli antichi.

 

Gran parte degli oggetti fabbricati dai ceramisti locali era determinata dall' uso pratico e funzionale, come la brocca dell'acqua da bere o l'anforetta da campagna che sempre ripondevano ad esigenze concrete. Così come i grandi tegami di cottura o i contenitori da impasto o i vasi per gli alimenti o gli orci per conservare i cibi, a parte l' elaborata eleganza della linea, dovevano risolvere i problemi contingenti della vita quotidiana assicurando cioè la disponibilità di utensili adatti alle necessità domestiche e rurali.

La produzione delle terrecotte ha avuto in Sardegna periodi e momenti di grande splendore, soprattutto dopo che le corporazioni medievali, chiamate Gremii, provvidero a disciplinare con statuti e regolamenti approvati dalle autorità politiche tutta l'attività creativa e commerciale, imponendo l'obbligo di non variare le forme e di non uscire dai canoni fissati in origine. I rappresentanti degli stovigliai di Oristano verso l' anno 1830, gli richiesero l'autorizzazione a dare nuove forme ai loro manufatti, in quanto, in base allo statuto corporativo dei figoli, detti in lingua locale «congiolàrgius» era loro proibito di produrre altri oggetti che non fossero anfore, pentole ed orci.

 

L' allora commissario reale straordinario della Sardegna, concesse il permesso e favorì in tal modo la diffusione a livello regionale di queste piccole industrie familiari.

 

I diversi centri figulini fornivano, a tutti i paesi dell' isola, le stoviglie e gli utensili pratici ed erano diventati famosi per la confezione di bellissime brocche per acqua potabile che ripetevano inconsapevolmente le eleganti forme delle anfore della civiltà classica mediterranea o delle idrie nuziali di derivazione italica o dei vasi d'impronta cretese-micenea o delle brocche vinarie importate dai Fenici e dai Punici.

 

Le caratteristiche «brugnas» (o orci, o giare) rappresentano ancora la continuità delle urne funerarie pagane nel passaggio a grossi vasi per contenere i cibi di provvista «ls màrigas» (o brocche, o anfore) verniciate solo all' esterno nella parte superiore e

all' interno anche nel collo, si adattano perfettamente alla conservazione dell'acqua, in quanto, da piene, lasciano trasudare il liquido che così mantiene la freschezza della sorgente.

«Su frascu» del contadino campidanese è il contenitore ideale dell'acqua per dissetare i lavoratori dei campi in una regione inondata di sole, cosi come sa «Sa stangiàda» (una sorta di enorme borraccia rustica) garantisce l'inalterabilità del liquido dissetante.

 

Tutti questi «pezzi», oltre che di grande praticità, sono caratterizzati da una linea elegante, di notevole effetto estetico. Lo stesso vale per i grandi bacili da impasto detti «tiànus» e «scivus» e «Sciveddas» (dal latino scyphus), che accoppiano la praticità alla purezza della forma ed alla vivacità popolaresca della patina esterna, ottenute con terre coloranti naturali o con l'applicazione «de sa galanza», ossia di grani di galena, oppure con l'emulsione di vapori di essenze aromatiche della macchia mediterranea: accorgimenti che sono in definitiva i risultati di una rilevante esperienza pratica e di capacità di adattamento con mezzi ridotti.

In epoca moderna l'artigianato della ceramica si è sensibilmente ridotto a pochi centri e si è talvolta disperso in sterili tentativi di adattare i vecchi motivi della tradizione ai temi del folklore ed allo sviluppo artistico con tecniche nuove ed aggiornate.

 

Dopo l'avvento dell'autonomia si sono riscoperti gli antichi valori culturali e si è dato l'avvio alla rinascita delle botteghe, anche con la costituzione di piccole cooperative. Così oggi gli artigiani figoli della Sardegna, da semplici ripetitori di forme antiche e da rustici fabbricatori di umili oggetti d' uso pratico, sono passati con felice estro creativo ad elaboratori di pezzi unici per l'arredamento moderno, raccogliendo ed esaltando un messaggio remotissimo di cultura e di arte.

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